Monte Baldo: che panorama!
Splendida escursione in solitaria in ambiente selvaggio ed
isolato in una giornata di dicembre eccezionalmente limpida e che permette di
godere a pieno il panorama che si può ammirare a 360° dal Baldo.
Il percorso scelto è un anello che partendo dalla località di Prada Alta (1.140 metri) dove si lascia l’auto nel piccolo spiazzo di Punta Veleno, conduce in salita piuttosto ripida attraverso il bosco prima al Baito Buse, poi alla Bocchetta di Coal Santo fino al rifugio Telegrafo e all’omonima cima (2.200 metri) per poi ridiscendere dall’altro versante, utilizzando la panoramica variante Forcellin.
Tutta l’escursione si svolge con stupende viste affacciate sul sottostante Lago di Garda e, grazie alla giornata splendida, alle montagne sull’altro versante, fino ad arrivare all’Adamello imbiancato sullo sfondo.
Lasciata l’auto si sale su sentiero nel bosco - per la verità si tratta di una traccia appena accennata ed a volte solo intuibile, senza alcuna segnatura - fino ad una baita: qui bisogna prestare un minimo di attenzione perché il sentiero più evidente conduce ancor più all’interno del bosco, mentre per salire di quota si deve prendere la deviazione più verticale che passa vicina alla costruzione, superata la quale dopo qualche centinaio di metri si sbuca su pascoli frequentati ora da un discreto numero di cavalli, con il Baito Buse in vista (1.623 metri): già da qui il panorama è davvero incantevole!
Il percorso scelto è un anello che partendo dalla località di Prada Alta (1.140 metri) dove si lascia l’auto nel piccolo spiazzo di Punta Veleno, conduce in salita piuttosto ripida attraverso il bosco prima al Baito Buse, poi alla Bocchetta di Coal Santo fino al rifugio Telegrafo e all’omonima cima (2.200 metri) per poi ridiscendere dall’altro versante, utilizzando la panoramica variante Forcellin.
Tutta l’escursione si svolge con stupende viste affacciate sul sottostante Lago di Garda e, grazie alla giornata splendida, alle montagne sull’altro versante, fino ad arrivare all’Adamello imbiancato sullo sfondo.
Lasciata l’auto si sale su sentiero nel bosco - per la verità si tratta di una traccia appena accennata ed a volte solo intuibile, senza alcuna segnatura - fino ad una baita: qui bisogna prestare un minimo di attenzione perché il sentiero più evidente conduce ancor più all’interno del bosco, mentre per salire di quota si deve prendere la deviazione più verticale che passa vicina alla costruzione, superata la quale dopo qualche centinaio di metri si sbuca su pascoli frequentati ora da un discreto numero di cavalli, con il Baito Buse in vista (1.623 metri): già da qui il panorama è davvero incantevole!
A monte del Baito Buse si trova un fontanile da cui risale un sentiero con qualche bollo bianco e rosso a guidare il cammino: anche qui bisogna prestare un minimo di attenzione perchè altrimenti si sarebbe portati a seguire l’ampia mulattiera che taglia il profilo del monte e porta poi al Rifugio Chierego.
Il percorso passa vicino ad una stranissima
struttura che sembrerebbe quasi un grande cartellone pubblicitario, ma che ho poi scoperto essere un ripetitore passivo, e poi sbuca in una radura; qui il primo incontro della
giornata: uno splendido camoscio esce da dietro un cespuglio e si ferma ad
osservarmi da una 30ina di metri, giusto il tempo di farmi impugnare la reflex
per un paio di scatti al volo (per fortuna avevo montato il 70-200 e non più il
17-40!) e poi scappa via, veloce e agilissimo.
Passato accanto alla cosiddetta Pozza Buse ignoro
il “sentiero natura” che si stacca sulla sinistra mentre punto dritto per
dritto fuori sentiero su pratoni abbastanza ripidi ma con una particolare
conformazione che sembra formare tanti scalini, in direzione della Bocchetta di
Coal Santo a quota 1.978 metri.
Durante la salita, su terreno gelato e ricoperto da uno strato di nevischio compatto di un paio di centimetri (questa zona resta praticamente in ombra tutta la giornata), altri camosci fanno la loro comparsa: quello di prima pensavo fosse stato un incontro fortunato, ma subito mi rendo conto che questa zona è popolata da un gran numero di esemplari di camoscio.
Durante la salita, su terreno gelato e ricoperto da uno strato di nevischio compatto di un paio di centimetri (questa zona resta praticamente in ombra tutta la giornata), altri camosci fanno la loro comparsa: quello di prima pensavo fosse stato un incontro fortunato, ma subito mi rendo conto che questa zona è popolata da un gran numero di esemplari di camoscio.
Arrivati alla Bocchetta di Coal Santo ci si trova
praticamente in cresta ed il panorama spazia su tutto il Lago di Garda da una
parte ed il versante veronese dall’altro; la cresta è percorsa da una comoda ed
ampia mulattiera militare, risalente alla prima guerra mondiale.
Su questa mulattiera lo spettacolo offerto dai
camosci è splendido: ce ne sono in gran numero, anche alcuni cuccioli, e si
lasciano avvicinare fino ad una distanza di sicurezza - per loro - di una 20ina
di metri.
Seguendo la cresta si arriva rapidamente al Passo
del Camino (2.128 metri) seguendo l’indicazione del Rifugio Telegrafo; il
sentiero è suggestivo, passando accanto ad alcuni pennacchi di roccia molto
scenografici, con affacci ora sul versante veronese e ora sul lago.
Si supera l’arrivo della ferrata delle Taccole (che non mi è
sembrata molto ben tenuta, ma potrei sbagliare) e si arriva poi ad un bivio che
indica una variante per escursionisti esperti per arrivare al rifugio oppure il
normale sentiero escursionistico, che arriva al rifugio con un giro leggermente
più ampio.
Scelgo la variante EE, che comunque non si rivela
nulla di davvero impegnativo (basta avere un po’ di abitudine ai sentieri di
montagna e piede fermo), ed in circa 15 minuti arrivo al Rifugio “G. Barana” al
Telegrafo (chiuso), dove dall’ampia terrazza panoramica si gode di una vista
sul lago davvero privilegiata.
Visto che le due panche sulla terrazza sono
occupate da un gruppetto di escursionisti che ho visto scendere da Punta
Telegrafo mentre io mi avvicinavo al rifugio, mi posiziono sulla piazzola
riservata all’atterraggio degli elicotteri per mangiare i miei panini e
riposare un po’, riscaldato dal sole: anche da qui il panorama è esaltante.
Dopo la breve sosta in un attimo si arriva a Punta
Telegrafo (2.200 metri), ben visibile e distante solo un centinaio di metri, da
dove il panorama è assolutamente mozzafiato; un selfie con la croce di vetta
non può mancare!
Da qui ci sono due alternative: tornare al rifugio
e poi prendere il sentiero che inizia la discesa verso valle, oppure seguire
una traccia di sentiero che conduce in lieve discesa su una cresta un po’
esposta ma comunque abbastanza ampia e senza passaggi complicati e che conduce
ad un’altra croce in ferro, molto più spartana, che si intravede sul
promontorio.
Decido quindi di provare a vedere se questa
seconda opzione sia percorribile, con l’intenzione di ritornare sui miei passi
nel caso non lo fosse.
Questo tratto è il regno dei camosci, percorrendolo ne incontro a decine che mi osservano come fossi un alieno venuto a casa loro (ed in effetti un po’ è così).
Si cammina su terra gelata ed un leggero strato di neve (qualche centimetro) molto compatta ed il rischio di scivolare è quasi nullo, inoltre la cresta è larga abbastanza da essere percorsa in sicurezza e non presenta altre difficoltà tecniche; in compenso anche la vista su questa parte di montagna in ombra, dove quindi la poca neve caduta non si è sciolta, è molto affascinante.
Solo a metà della cresta c’è un passaggio che giudico troppo ripido e che non mi sento di affrontare, quindi scendo per un po’ per i ripidi pratoni in modo da poter aggirare questo tratto e riprendere poco oltre la crestina che mi conduce alla croce di ferro ed infine si ricongiunge al sentiero ufficiale, dove guardandomi alle spalle ho una bella vista del rifugio Telegrafo.
Procedendo la discesa si giunge ad un bivio che
segnala la variante “Forcellin”, ben più panoramica per effettuare la discesa,
quindi la imbocco senza esitazione pur sapendo che allungherà leggermente il
giro, del resto davanti allo spettacolo naturale che ho davanti agli occhi la
fatica non si fa assolutamente sentire (almeno per ora!).
Da principio la discesa per la variante
“Forcellin” non sembra nulla di particolare – ad eccezione del panorama con
vista a picco sul lago, davvero notevole – ma poi proseguendo in alcuni tratti,
oltre che sconnesso, il sentiero è anche un po’ esposto: niente di tremendo, ma
è bene non avere fretta e prestare attenzione a dove si mettono i piedi; per
fortuna la roccia è molto salda e non si rischia di mettere i piedi su rocce
che si spostano immediatamente, inoltre i tratti più impegnativi sono stati
opportunamente attrezzati con brevi catene di sicurezza.
Il “Forcellin” alla fine si rivela abbastanza
faticoso e spacca gambe, tanto che l’arrivo alla congiunzione con il sentiero
ufficiale è un vero sollievo; da qui si prosegue in discesa addentrandosi
nuovamente nel bosco fino ad arrivare ad una pozza per l’abbeverata degli
animali, ora ghiacciata, dove trovo gli ultimi camosci della giornata.
La discesa prosegue con lunghi ed ampi zig-zag su
comoda mulattiera ricoperta di foglie secche con gli ultimi colori dell’autunno, resi ancora più magici dal progressivo arrivo del tramonto.
Finalmente si sbuca sulla strada asfaltata che sale da Porto di Brenzone:
la imbocco prendendo verso sinistra e seguendola per poco più di un
kilometro arrivo nuovamente alla macchina.
In conclusione è stata un’escursione fantastica,
in un ambiente veramente superbo e che grazie alla giornata particolarmente
limpida mi ha regalato delle vedute sul lago di Garda e sulle Alpi bresciane
davvero da ricordare.
Per quanto non sia un’escursione con particolari
difficoltà tecniche (ad eccezione delle varianti che ho scelto io di percorrere
ma che avrebbero potuto essere evitate senza pregiudicare la bellezza
dell’escursione stessa), va comunque tenuto in conto che è piuttosto faticosa,
sia per la lunghezza complessiva di circa 13,5 km, sia soprattutto per il
dislivello assoluto di 1.100 metri che richiede comunque un discreto allenamento.
Da segnalare poi che lungo il percorso non si trovano fonti d’acqua, ad
eccezione del fontanile a monte del Baito Buse, che però nel mio caso era del tutto
ghiacciato.